Tra formazione e apertura
Tre giorni di inaspettata follia per inaugurare il ritorno in quota.
Dopo l’ultima nevicata a ridosso dell’apertura delle funivie Ezio mi chiama e mi dice che su ha implaccato come si deve e si può cogliere l’occasione per salire le ultime due vie da aprire in parete W ai Marbrée. “Io salgo con Giacomo e Alberto, sei dei nostri?”. Dopo due messaggi Domenico mi comunica di essere della partita ed è fatta: alle 7:30 ci accingiamo a prendere la SkyWay in modalità StarTrek.
Mascherina d’obbligo neanche a dirlo, ma il passaggio nella cabina disinfestatrice mi mancava come esperienza. Uno schermo con termometro e telecamera verifica la bassa temperatura corporea e la presenza della mascherina sul viso. Poi si aprono le porte, ma si richiudono appena entrato. Una vocina “simpatica” intima di trattenere il respiro e chiudere gli occhi. Aspettavo solo di dire “teletrasportami Spok!” e poi di essere catapultato su qualche pianeta lontano. Invece le porte si riaprono e mi concedono gentilmente di salire sulla funivia. Dove siamo arrivati?! Queste purtroppo sono le condizioni a loro imposte per poter riaprire la funivia e per noi di tornare a lavorare.
Ingoiato il rospo “lack of freedom”, arrivati su ci aspetta una bellissima giornata al contrario di ogni previsione; tutto è impiastrato di bianco, il Sole splende e l’unico posto dove desidero essere teletrasportato è su un diedro incrostato di neve con piccozze e ramponi a fare scintille. L’ambiente è patagonico, Ezio & C. si dirigono a sinistra della via Ottavio-Deanoz, noi appena a destra. I primi due tiri sono da fantascienza, appunto, un diedro perfetto dipinto da un artista. Con Domenico si susseguono i tiri uno più bello dell’altro e nessuno facile o banale. Ma col passare delle ore (neanche molte per la verità) la temperatura si alza, il Sole scavalla sopra la nostra testa e ci ricorda prontamente che siamo a giugno e non a gennaio. Siamo a 2-3 tiri dalla fine, le incrostazioni cominciano a cadere ai nostri lati e con qualche blocco ci raggiungono. Il buonsenso ci dice di scendere, la parte di misto vero e proprio era ormai finita e ciò che seguiva era solo roccia ripida. Torneremo certamente per aggiungere l’ultimo tassello, giusto per arrivare in vetta. Intanto è nata “Boris the carpenter, 5 tiri, M6 RX”.
Quello stesso giorno, entusiasta delle condizioni e sorpreso ancora una volta dalla meteo clemente, telefono a Roberto con cui sono ormai 3 week end che ci va buca e gli dico di salire comunque che tanto si sbaglieranno di nuovo e farà bello i giorni successivi. Con santa pazienza Roby si mette in auto da Genova e mi raggiunge. Il giorno seguente sperimenta anche lui la “cabina magica” e in breve arriviamo in quota. L’obbiettivo è fare formazione sul misto tecnico. L’idea è di arrivare dietro al col Flambeau e osservare le condizioni per poi prendere una direzione. Una possibilità era la via “Cocktail entr’Eve et Salluard” alle Aiguilles d’Entreves, ma ci accorgiamo subito delle condizioni patagoniche proibitive. Dunque il piano diventa immediatamente la via Ottoz alla Pyramide con attacco diretto. Quest’ultimo rimanendo esposto a N ritiene la neve e il ghiaccio più a lungo, quindi perfetto per la didattica. Dopo 3 tiri Roby è già entusiasta della nuova scoperta e proseguiamo allegramente per un centinaio di metri sulla via originale. Il tiro dei tetti è però fradicio perché a monte la neve accumulata scioglie, quindi ci si aprono 2 possibilità: buttare le doppie oppure tentare una linea incognita alla sua destra, passando per uno strapiombo con piccola candeletta ghiacciata che però non cola ancora. Questo mi dà l’idea che a monte non vi sia più molta neve e quindi tento. La soluzione si dimostra entusiasmante con un diedrino liscio solcato da un’esile fessura in uscita che diverte entrambi.
Rientrati al Torino per la notte facciamo programmi per il giorno seguente. Non ci dispiacerebbe tornare per finire la via iniziata con Domenico due giorni prima, ma il mattino presto, una volta alla base, ci rendiamo conto che è totalmente sparita: “Carpe Diem”!
Ci spostiamo 50 m più a destra in corrispondenza di una bellissima quanto difficile candela di ghiaccio incassata in un diedro marcio. Dopo pochi metri mi rendo conto che nonostante siano le 7 del mattino a 3400m di quota, la neve contro le rocce sta già sciogliendo e la candela colando. Dietrofront immediato onde evitare guai. Non c’è il due senza il tre e quindi la soluzione più intelligente è di attaccare la Via dei Cristallieri che non presenta dei grossi pericoli oggettivi finché rimane all’ombra. Un paio di varianti sul tema un pò piccanti ci portano al pendio superiore dove decido di far passare davanti Roberto a mettere in pratica ciò che ha imparato durante i due giorni. Arrivati a 40m dalla cresta classica potremmo uscire facilmente su neve, ma la sua attenzione è attirata dal torrione roccioso e fessurato alla nostra destra. Non c’è stato bisogno di parlare; a mio parere il terreno si prestava a “mettersi in gioco” in tutta sicurezza e quindi perché no?! Roby si lancia da primo sulle ripide fessure impiastrate di neve e arriva in sosta magistralmente. Quale soddisfazione più grande del vederlo raggiungere la sosta da primo?! Grande Roby! La prossima sarà un vione su qualche bel 4000!
Ora mi sa che è tempo di metter via le piccozze tecniche per prendere in mano quella classica. Sperando nel ritorno dell’estate.